Molte cose stanno cambiando in Europa. L'elezione di Trump prima e le sue scelte poi, sembrano aver risvegliato un "patriottismo europeo". In Austria, in Olanda, in Francia l'onda populista e antieuropea - che pareva rafforzata dall'esito delle elezioni americane - è stata fermata da un sussulto democratico. Le elezioni inglesi hanno segnato la sconfitta di Theresa May che aveva puntato tutte le sue carte sulla Brexit e su uno stretto rapporto con Trump. In Francia il successo plebiscitario di Macron non è solo figlio della paura della Le Pen, ma anche del consenso per un Presidente che ha fatto dell'Europa l'asse centrale della sua "rivoluzione". E infine, il G7 di Taormina ha consentito all'Unione Europea e ai suoi leader di prendere consapevolezza della urgente necessità di mettere in campo una presenza europea sulla scena mondiale non condizionata dalle scelte americane. Una consapevolezza a cui Angela Merkel ha dato voce con parole esplicite - "l'Europa deve prendere nelle sue mani il proprio destino" - incoraggiata dalla dichiarata volontà di Macron di rilanciare l'asse franco-tedesco come motore di una nuova Europa, evocando perfino la revisione dei Trattati, tabù di cui in Europa era vietato parlare dopo l'esito negativo dei referendum olandese e francese del 2005 sulla Costituzione europea.
Non è una novità di poco conto. Per sessant'anni la vita dell'Unione Europea ha avuto nel rapporto transatlantico uno dei suoi pilastri. E' stato così dai Trattati di Roma alla caduta del muro di Berlino, nel tempo dell'equilibrio bipolare, quando Unione Europea e Stati Uniti erano i players inscindibili del campo occidentale. Ed è stato così anche dopo l'89, quando Unione Europea e Stati Uniti hanno guidato insieme la riunificazione del continente con l'integrazione dei paesi dell'Europa centrale e orientale nell'UE e nella NATO.
Insomma: anche se non si devono sottovalutare le difficoltà - a partire dall'insufficiente livello di coesione che caratterizza oggi i rapporti tra i 27 Paesi dell'Unione, come dimostrano le divisioni manifestatesi sull'immigrazione e sull'Europa a più velocità - non vi è dubbio che nelle cancellerie europee sta via via affermandosi la consapevolezza della urgente necessità di un salto di qualità: l'Europa non supererà le sue fragilità se non aprirà una "nuova fase costituente" finalizzata a un più alto livello di integrazione economica, sociale, politica e istituzionale.
Dopo le elezioni in Spagna, Austria, Olanda, Romania, Bulgaria, Francia, Gran Bretagna, nei prossimi mesi andranno al voto Germania, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Estonia e all'inizio del 2018 l'Italia: molti Paesi dell'Unione avranno così rinnovato le loro classi dirigenti e avranno davanti 18 mesi, fino alle elezioni europee del 2019, per avviare scelte che segnino l'inizio di una nuova fase della vita dell'Unione Europea. I banchi di prova non mancano: la verifica a fine '17 sul fiscal compact e le politiche di bilancio, la costituzione del Fondo monetario europeo per il rilancio di un piano europeo di investimenti, l'adozione di più avanzati strumenti di governo dell'euro, l'attuazione del Migration compact e del piano Junker 2, la costruzione di un "pilastro sociale europeo", la gestione della Brexit, l'avvio di un sistema di difesa europea. Sfide a cui il Libro bianco sul futuro dell'Europa di prossima pubblicazione potrà dare respiro e visione strategica.
Misurarsi con coraggio con quelle sfide consentirà anche di superare gradualmente la pervasività e invasività - affermatesi in questi anni di crisi - della dimensione intergovernativa per restituire centralità e ruolo alle istituzioni comunitarie, in primis Commissione e Parlamento europeo. E' facile constatare che ricondurre ogni decisione al Consiglio europeo e ai Capi di governo non ha affatto accresciuto la coesione nell'Unione. La dimensione intergovernativa, infatti, è per sua natura condizionata dal prevalere degli interessi statali su comuni obiettivi europei
A sua volta il rilancio di politiche comuni e di comunitarizzazione potrà favorire lo scioglimento di altri due nodi: la flessibilità delle forme di integrazione, consentendo ai Paesi che intendono procedere più spediti nell'integrazione di poterlo fare (con il vincolo della porta aperta a adesioni successive e del mantenimento di un quadro istituzionale unitario); e l'istituzione di forme partecipative e decisionali che superino la lontananza delle istituzioni europee dalle opinioni pubbliche e consentano ai cittadini di riconoscersi nelle istituzioni europee e di condividerne le decisioni.
Certo, nessuna decisione è facile e priva di rischi. Ma la storia insegna che i rischi sono molto più alti quando ci si impantana nella indecisione e nell'attesa passiva di ciò che accadrà.
Un' Europa padrona del proprio destino
Molte cose stanno cambiando in Europa. L'elezione di Trump prima e le sue scelte poi, sembrano aver risvegliato un "patriottismo europeo". In Austria, in Olanda, in Francia l'onda populista e antieuropea - che pareva rafforzata dall'esito delle elezioni americane - è stata fermata da un sussulto democratico. Le elezioni inglesi hanno segnato la sconfitta di Theresa May che aveva puntato tutte le sue carte sulla Brexit e su uno stretto rapporto con Trump. In Francia il successo plebiscitario di Macron non è solo figlio della paura della Le Pen, ma anche del consenso per un Presidente che ha fatto dell'Europa l'asse centrale della sua "rivoluzione". E infine, il G7 di Taormina ha consentito all'Unione Europea e ai suoi leader di prendere consapevolezza della urgente necessità di mettere in campo una presenza europea sulla scena mondiale non condizionata dalle scelte americane. Una consapevolezza a cui Angela Merkel ha dato voce con parole esplicite - "l'Europa deve prendere nelle sue mani il proprio destino" - incoraggiata dalla dichiarata volontà di Macron di rilanciare l'asse franco-tedesco come motore di una nuova Europa, evocando perfino la revisione dei Trattati, tabù di cui in Europa era vietato parlare dopo l'esito negativo dei referendum olandese e francese del 2005 sulla Costituzione europea.
Non è una novità di poco conto. Per sessant'anni la vita dell'Unione Europea ha avuto nel rapporto transatlantico uno dei suoi pilastri. E' stato così dai Trattati di Roma alla caduta del muro di Berlino, nel tempo dell'equilibrio bipolare, quando Unione Europea e Stati Uniti erano i players inscindibili del campo occidentale. Ed è stato così anche dopo l'89, quando Unione Europea e Stati Uniti hanno guidato insieme la riunificazione del continente con l'integrazione dei paesi dell'Europa centrale e orientale nell'UE e nella NATO.
Insomma: anche se non si devono sottovalutare le difficoltà - a partire dall'insufficiente livello di coesione che caratterizza oggi i rapporti tra i 27 Paesi dell'Unione, come dimostrano le divisioni manifestatesi sull'immigrazione e sull'Europa a più velocità - non vi è dubbio che nelle cancellerie europee sta via via affermandosi la consapevolezza della urgente necessità di un salto di qualità: l'Europa non supererà le sue fragilità se non aprirà una "nuova fase costituente" finalizzata a un più alto livello di integrazione economica, sociale, politica e istituzionale.
Dopo le elezioni in Spagna, Austria, Olanda, Romania, Bulgaria, Francia, Gran Bretagna, nei prossimi mesi andranno al voto Germania, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Estonia e all'inizio del 2018 l'Italia: molti Paesi dell'Unione avranno così rinnovato le loro classi dirigenti e avranno davanti 18 mesi, fino alle elezioni europee del 2019, per avviare scelte che segnino l'inizio di una nuova fase della vita dell'Unione Europea. I banchi di prova non mancano: la verifica a fine '17 sul fiscal compact e le politiche di bilancio, la costituzione del Fondo monetario europeo per il rilancio di un piano europeo di investimenti, l'adozione di più avanzati strumenti di governo dell'euro, l'attuazione del Migration compact e del piano Junker 2, la costruzione di un "pilastro sociale europeo", la gestione della Brexit, l'avvio di un sistema di difesa europea. Sfide a cui il Libro bianco sul futuro dell'Europa di prossima pubblicazione potrà dare respiro e visione strategica.
Misurarsi con coraggio con quelle sfide consentirà anche di superare gradualmente la pervasività e invasività - affermatesi in questi anni di crisi - della dimensione intergovernativa per restituire centralità e ruolo alle istituzioni comunitarie, in primis Commissione e Parlamento europeo. E' facile constatare che ricondurre ogni decisione al Consiglio europeo e ai Capi di governo non ha affatto accresciuto la coesione nell'Unione. La dimensione intergovernativa, infatti, è per sua natura condizionata dal prevalere degli interessi statali su comuni obiettivi europei
A sua volta il rilancio di politiche comuni e di comunitarizzazione potrà favorire lo scioglimento di altri due nodi: la flessibilità delle forme di integrazione, consentendo ai Paesi che intendono procedere più spediti nell'integrazione di poterlo fare (con il vincolo della porta aperta a adesioni successive e del mantenimento di un quadro istituzionale unitario); e l'istituzione di forme partecipative e decisionali che superino la lontananza delle istituzioni europee dalle opinioni pubbliche e consentano ai cittadini di riconoscersi nelle istituzioni europee e di condividerne le decisioni.
Certo, nessuna decisione è facile e priva di rischi. Ma la storia insegna che i rischi sono molto più alti quando ci si impantana nella indecisione e nell'attesa passiva di ciò che accadrà.