Europa e Kosovo: il momento delle scelte e il ruolo dell'Italia
1. Quando, a fine 2019, Macron pose il veto all’avvio dei negoziati di adesione alla Ue di Albania e Macedonia del Nord, la notizia fu accolta in Kosovo come conferma di radicati sospetti sull’inaffidabilità di Bruxelles. La luna di miele tra Europa e Pristina si era guastata già a fine 2018, quando l’Alta Rappresentante Federica Mogherini non aveva rigettato l'ipotesi di uno scambio di territori tra Kosovo e Serbia evocata dai Presidenti Thaçi e Vučić come possibile elemento di un accordo di normalizzazione tra i due paesi. Tale prospettiva suscita apprensione tra chi vi intravede la messa in discussione della sovranità e dell’indipendenza conseguite con la guerra di liberazione del 1998-99.
La percepita duplicità europea trova il proprio emblema nell’annosa questione della liberalizzazione dei visti. Il Kosovo resta ad oggi l’unico paese dei Balcani Occidentali la cui popolazione è di fatto isolata dal continente, nonostante la Commissione Europea abbia accertato il soddisfacimento di tutti i requisiti formali per la revoca dell’obbligo di visto d’ingresso [rapporto della Commissione COM(2018) 543 final]. Parigi e L’Aja soprattutto sono additate come responsabili dello stallo, ma il malumore della popolazione, cavalcato da tutte le forze politiche, non fa distinzioni e viene rivolto contro l’intera Unione.
Questi sentimenti sono a volte ricambiati dalle istituzioni europee, dove si registra forte delusione per iniziative unilaterali come la fuga in avanti della trasformazione delle forze di sicurezza kosovare in forze armate vere e proprie (in contrasto con la Risoluzione ONU 1244/1999) o l’imposizione di aggressivi dazi sulle importazioni dalla Serbia (e dalla Bosnia Erzegovina), revocati solo dopo intense pressioni americane ed europee. A poco valgono le spiegazioni di Pristina che le forze armate sono state create con l’assenso statunitense e in piena trasparenza, e i dazi introdotti come rappresaglia al boicottaggio serbo dei tentativi kosovari di accedere alle organizzazioni internazionali (Interpol, nello specifico). Per la leadership del Kosovo, la questione dello status internazionale del paese è stata chiusa con la dichiarazione d’indipendenza del 17 febbraio 2008 e la sua “ratifica” da parte della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 2010. Ma per l’Unione Europea, che include cinque “non-recognizers” (Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia, Spagna), essa resta collegata al processo di normalizzazione “tra Pristina e Belgrado”.
2. Non stupisce dunque che il Kosovo cerchi rifugio nella memoria del ruolo chiave svolto dagli Stati Uniti nella guerra di liberazione. I leader americani di allora, specialmente Bill Clinton e Madeleine Albright, sono ancora oggi venerati (si pensi alla statua dell’ex Presidente americano che torreggia sul Bulevardi Bill Klinton a Pristina). La popolazione vede dogmaticamente negli USA il proprio partner più affidabile e vi assegna un peso superiore al ruolo effettivamente esercitato oggi in Kosovo. Al riguardo, l’Ufficio della UE a Pristina non manca di sottolineare che oltre il 70% dell’assistenza internazionale nel 2019 è venuta dall’Unione e i suoi Stati membri. Sono gli europei, inoltre, a fornire oggi il grosso delle forze internazionali stanziate in Kosovo sotto il cappello NATO. L’Italia, che detiene per la settima volta consecutiva (undici in totale) il comando della missione KFOR, è il primo “security provider” nel paese, un dato che stupisce non solo gli interlocutori kosovari, ma persino gli italiani.
I Balcani Occidentali sono del resto geograficamente situati in Europa, ed europeo non può che essere il loro futuro geopolitico. In effetti, benché il quadrante veda crescere la competizione tra sfere d’influenza occidentale, turca, russa e persino cinese, almeno per ora lo sguardo del Kosovo sembra fermamente rivolto ad ovest. I kosovari accettano forse a fatica di non poter ambire a divenire il 51mo Stato a stelle e strisce, ma, sentendosi culturalmente europei (nella variante mediterranea), e avamposto europeo prima dell’Oriente, si risentono per la presunta alterigia di Bruxelles.
3. La nuova tornata del dialogo facilitato dalla Ue tra leader serbi e kosovari è iniziata il 12 luglio scorso, dopo un lungo iato che ha ulteriormente indebolito il percepito peso di Bruxelles e creato uno spazio di opportunità colto dall’Amministrazione statunitense. L’azione diplomatica dell'Inviato Speciale Richard Grenell, come già quella di Mogherini, ha fatto leva sulla consolidata sintonia tra Thaçi e Vučić puntando a creare, attraverso intese di natura economica, nuovi presupposti per un accordo più generale. Non condivisa dall’allora Primo Ministro reggente Albin Kurti, l’iniziativa si è riverberata sul piano politico interno. Essa si è comunque arenata a poche ore da uno storico incontro tra i Presidenti Thaçi e Vučić a Washington, di fronte alla divulgazione della richiesta di messa in stato d’accusa del primo da parte del Procuratore Speciale de L’Aja, ma non è del tutto evaporata. Un nuovo vertice tra i leader dei due paesi nella capitale americana, dichiaratamente incentrato sul rilancio della collaborazione economica tra Kosovo e Serbia, è stato annunciato per inizio settembre.
4. Precedute da un simbolico incontro virtuale organizzato da Parigi, sotto egida tedesca e francese, le prime riunioni facilitate dalla Ue tra le delegazioni kosovara e serba hanno segnato la ripresa del dialogo, fortemente auspicata dall’Italia. In questa fase ancora iniziale delle trattative, le dichiarazioni dei leader dei due paesi sembrano puntare ad obiettivi diversi. Il Primo Ministro kosovaro ha ribadito che il dialogo può solo concludersi con il reciproco riconoscimento tra i due paesi, mentre i comunicati serbi restano ancorati al linguaggio della “normalizzazione” dei rapporti. Il Kosovo vi partecipa con alle spalle uno scenario politico non compatto e nel mezzo di una difficile lotta contro la pandemia. I sentimenti della popolazione kosovara appaiono tiepidi, ridotte sono le aspettative, e non mancano voci che polemicamente sottolineano l’appartenenza tanto dell’Alto Rappresentante Josep Borrell quanto del suo delegato per il dialogo Miroslav Lajčák a paesi “non-recognizers”.
5. L’aspirazione europea (ed atlantica) del Kosovo è fuori discussione, ma Pristina si dichiara non disposta a pagare qualunque prezzo per entrare nel club, soprattutto se esso implica rinunce territoriali o la rimessa in discussione della propria sovranità. Ancorché non sia possibile scindere il processo di integrazione europea del Kosovo dall’andamento del dialogo con la Serbia, mantenere viva la prospettiva europea diviene dunque prioritario per impedire che la crescente frustrazione della popolazione profili una deriva orientale del paese o inneschi fermenti regionali. Situato sulla faglia tra aree di influenza centrifughe, il Kosovo può alternativamente costituire fattore di stabilità o amplificare le tensioni che da sempre connotano i Balcani Occidentali. Negli ultimi mesi, caratterizzati da due crisi di governo, dalla convocazione di Thaçi a L’Aja e da serie difficoltà nella gestione del Coronavirus, il Kosovo ha però dimostrato resilienza. Situato nel cuore di un’area strategica per la sicurezza del continente, il paese figura a piena ragione tra le principali priorità della politica estera e di sicurezza europea.
6. L’aspettativa europea è che la leadership kosovara mantenga dritta la barra del processo di riforma ai fini della piena acquisizione e attuazione dell’acquis communautaire, continui a combattere attivamente corruzione e criminalità organizzata e a fare propri non solo le leggi ma anche i valori dell’Europa cui ambisce. Bruxelles e gli Stati membri devono dal canto loro chiarire che il futuro del Kosovo e dei Balcani Occidentali è davvero in Europa. Occorre agire con una voce unica e rinunciare a progetti di nicchia che, inseguendo improbabili ambizioni di leadership continentale, indeboliscono, anziché rafforzare, il peso della Ue. Privare il Kosovo di questa prospettiva non può che produrre negativi riflessi interni, accentuare la perdita di fiducia dei giovani nel futuro, e favorire altre sfere d’influenza, facendo il gioco di chi mira a destabilizzare l’uscio di casa nostra.
In termini concreti, come indicato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte al summit di Zagabria lo scorso maggio (unico tra i leader presenti a sollevare il tema), l’Europa deve innanzitutto accelerare sulla liberalizzazione dei visti d’ingresso. Il differente trattamento riservato al Kosovo rispetto al resto della regione non è più giustificabile, anche considerata l’esigua dimensione del Paese (1,8 milioni di abitanti). Accertato dalla Commissione che il Kosovo presenta tutti i necessari presupposti, la questione appare non più tecnica, bensì squisitamente politica.
7. L'Italia, quale interlocutore privilegiato tanto di Pristina quanto di Belgrado, ha un importante ruolo da svolgere in ambito europeo e bilaterale. Con la tempestiva visita del Ministro Luigi Di Maio in Kosovo a febbraio, all'alba della ripresa del dialogo, abbiamo riaffermato il nostro interesse strategico alla regione, a sostegno dell’azione europea ed in stretto raccordo con Washington. La nostra azione diplomatica è rafforzata dal ruolo dell’Italia in KFOR, attraverso cui fungiamo da garante e cuscinetto tra i due paesi e le due comunità etniche. Tra le responsabilità del Comandante di KFOR figura infatti anche il sostegno al dialogo facilitato con Belgrado, una leva che bene farebbe la UE ad utilizzare con maggiore incisività. Puntiamo intanto ad approfondire i legami bilaterali nei settori economico, culturale ed industriale per agganciare ancor di più il futuro del Kosovo a quello europeo. Il potenziale dell’azione italiana è dimostrato dall'efficace promozione dei contatti operativi tra Pristina e Belgrado sulla risposta al Coronavirus, che continua con positivi risultati pratici da metà aprile 2020. Con il coinvolgimento ed il contributo dell’Italia vi sono tutte le premesse per assicurare che il Kosovo sia fattore di stabilità e progresso per l’intera regione. Sta ora all’Europa cogliere appieno questa opportunità.