Dalla pandemia sta uscendo una nuova Unione Europea
In una fase storica che si può ben definire drammatica, che ci vede dinanzi alla più grave crisi sanitaria economica, finanziaria, sociale e dal dopoguerra ad oggi, l'Unione è riuscita in pochi mesi a trasmettere due inequivocabili segnali di vitalità e ripresa del progetto europeo.
Il primo segnale è la decisione del Consiglio Europeo del 27 marzo scorso di avviare i negoziati di adesione con Albania e Macedonia del Nord; una decisione fondamentale perché rilancia la prospettiva di integrazione dei paesi dei Balcani dopo un lungo periodo di impasse e brusche frenate, dovute essenzialmente alle difficoltà di gestione di un’Europa allargata, e alle stesse incertezze dei paesi candidati nel rispondere alle richieste dell’Ue per l’adesione.
Il secondo segnale è nelle decisioni epocali assunte nel Consiglio straordinario di luglio in materia economica e finanziaria, che di fatto, introducendo per la prima volta uno strumento comune di gestione del debito, superando il patto di stabilità e stanziando risorse straordinarie per la crisi legata al Covid-19, segnano uno storico passo in avanti nell'integrazione europea, conferendo all'Unione una nuova identità e una maggiore credibilità politica e istituzionale ancora prima che economica.
È chiaro che una effettiva integrazione europea richiederà altri passaggi, ma il Consiglio di luglio segna un prima e un dopo, sposta riflessione, azione politica e obiettivi su un terreno più avanzato. Mentre fino a pochi mesi fa l'Unione appariva più in difficoltà, lo shock della pandemia ha portato ad una – per molti versi inattesa – forte risposta europea, con la realizzazione di un piano di rilancio fondato su una serie di strumenti di cui si discuteva da decenni senza arrivare ad un accordo, a dimostrazione di una vitalità del progetto europeo sul quale un'ampia maggioranza politica e anche l’attuale governo italiano hanno investito e che speriamo possa essere alla base di ulteriori riforme sul piano dell’architettura istituzionale e del ruolo politico dell’Unione europea.
Il tutto con evidenti effetti positivi anche per quanto riguarda la percezione dell'Unione da parte dei cittadini; e il plus di una evidente e inequivocabile sconfitta dei sovranismi.
Si sono poste quindi le basi per una risposta adeguata alla crisi sul piano economico; viceversa è ancora tutta da esplorare la ricaduta della crisi sul sistema delle relazioni internazionali e sugli equilibri geopolitici. Il rischio concreto è che la crisi in atto accentui le dinamiche di frammentazione e maggiore conflittualità che lo scenario geopolitico già mostrava chiaramente da diversi anni e determini un ulteriore indebolimento del tradizionale sistema di governance, che aveva posto al centro l'ONU e il diritto internazionale.
Ancora, ci si è occupati, nelle analisi e sui media, dell’impatto dell’epidemia nei paesi più industrializzati e moderni: come reagiranno le economie, come ripartire ecc. A mio parere dovremmo preoccuparci anche di quale sarà l’impatto sui paesi fragili, con governi e istituzioni deboli, condizioni sociali critiche, con conflitti in corso, e con sistemi sanitari deboli o inesistenti.
Ad esempio, tornando ai Balcani, l’epidemia si sta rivelando anche il pretesto per rafforzare tendenze autocratiche e accentuare le contrapposizioni identitarie; è quello è successo in Ungheria, e in particolare in Serbia, dove il presidente Vucic ha adottato misure di controllo dell’informazione e accentrato ulteriormente i poteri nella propria persona; le stesse elezioni di giugno hanno avuto un esito definito preoccupante da tutti gli osservatori.
È quindi imprescindibile per l'Unione compiere qualche passo in avanti anche nella capacità di politica estera e di difesa, invertire il processo di marginalizzazione che abbiamo osservato in diversi scenari di crisi e rafforzarne il ruolo a favore della sicurezza e della stabilità per evitare che il vuoto di sicurezza determinato da un arretramento dell'ONU, dell'Ue e della NATO diventi un'occasione per singoli attori e per le loro velleità di ridisegnare i rapporti di potenza; l’assenza di unità politica dell’Europa, l’assenza di una politica estera, di sicurezza e di difesa europea hanno creato un immobilismo che ha impedito all’Europa di contribuire a stabilizzare l’area di vicinato, creando un effetto domino che ha favorito nel Balcani disillusione e scetticismo e il riemergere di nostalgie nazionalistiche.
Proprio in un periodo così complesso, l'Unione europea ha un'opportunità: fungere da fattore di equilibrio e diventare motore di stabilità a livello internazionale, sorreggendo la prospettiva basata sugli organismi sovranazionali e gli accordi multilaterali.
Serve, però, un passo avanti nella capacità dell'Unione europea di esprimere una propria politica estera e di difesa, in particolare proseguendo sulle iniziative già avviate sulla difesa unica europea. Questa è la responsabilità che ci consegna il passaggio storico di oggi.